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GIORNONUMEROOTTO. [8.] Pausa
ottobre 4th, 2012 Posted 19:19
[8.] Pausa
Pausa.
Menopausa.
Arresto.
Arresto cardiaco.
Morte.
STOP.
Il tutto cominciò come una piccola confessione. Un *mi sono già sbattuta il cazzo di questo programma… non faccio quasi nulla tutto il giorno eppure non ho la minima inventiva…blablabla non si può scrivere a comando* e altre cazzatine varie, ma poi ha preso il via e non si ferma più.
Dopo l’amore c’è la pausa sigaretta.
Prima dell’amore c’è la pausa preliminari.
Dopo una litigata c’è la pausa di riflessione.
Dopo la riflessione c’è la pausa bidone.
La pausa è quella musicale, la pausa è quella scritta nello spartito, quella che fa singhiozzare gli strumenti, quella che conferisce importanza, interesse e pathos alle parole, quella che lascia con il fiato sospeso, quella da ringraziare e quella da maledire, quella che fa rizzare i capelli in testa e quella che trapassa il cuore.
La pausa è quella tra un battito e l’altro.
La pausa lunga e la pausa breve.
La pausa lunghissima. Troppo lunga.
La pausa che fa smettere di battere il cuore. Quella tra le parole, anche se non ce ne accorgiamo. La pausa tra un sogno e l’altro. La pausa tra i sospiri.
Inspira. Pausa. Espira.
Pausa di fumo.
Pausa del verdetto.
Pausa prima di tirare la corde, prima di abbassare l’accetta.
Pausa delle ultime parole del condannato.
Pausa tra una confessione e l’altra.
Pausa di lacrime.
Pausa affannata tra i baci e tra i sussurri.
Pausa delle radiazioni.
Pausa del giorno e della notte.
Pausa che rende le cose uguali a sempre. Pausa che cambia le cose.
Newt ama le pause. Ama le differenze. Ama il nuovo e ne conosce le sfumature. Ama ciò che è imprevisto. Ama studiarlo, farlo suo e renderlo, inconsciamente routine. Ama i singulti delle musiche anni ’60, gli attimi che intercorrono tra la pizzicata di una corda e un’altra. Ama gli attimi di silenzio che spezzano a metà il frastuono e i cambiamenti sorprendenti e rumorosi che arrestano il silenzio. Newt è un salto. Una mina che esplode. Qualcosa che rompe le righe e le lascia in disordine, qualcosa di completamente diverso…Newt è una pausa. Una pausa breve, istantanea.
Amanda ama tutto ciò che è costante. Tutto ciò che scorre lento e sempre uguale a se stesso. Ama la sicurezza del movimento sempre uguale. Ama le ripetizioni, ama i flussi di coscienza. Amanda adora lo scorrere coerente dei fiumi di pianura. Ama il verde omogeneo dei prati in primavera. Ama la sua casa sempre in ordine. Ama la vita fatta di singoli gesti tutti uguali. Ama ciò che è fisso e che non cambia mai. Ama il ritmo lento e fedele di una vita senza scossoni. Di una vita che non cambia mai. Amanda è una nota lunga. Vellutata e armonica.
Newt e Amanda. Due universi completamente opposti. Due sfere distanti legate tra loro da un filo sottile.
Due dischi di vinile con la stessa canzone. Due melodie che differiscono di un unico particolare e che ognuna di loro ha interiorizzato a suo modo.
Un disco è intatto, la musica scorre intatta e armonica sino alla fine.
L’altro all’improvviso si interrompe. Si interrompe e poi ricomincia. Senza il minimo preavviso.
E se questi due dischi venissero scambiati?
Ciò che è continuo è costretto a fare i conti con le pause, con i cambiamenti repentini.
Ciò che è saltuario e fuggevole è costretto a fare i conti con la coerenza e la solidità.
Prossimamente sui vostri schermi!
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GIORNONUMEROSETTE. [7.] Speranza
ottobre 3rd, 2012 Posted 17:35
[7.] Speranza
Ore 24:00 giorno N. 3.473
“Ehi, ehi… guardami.”
“…”
“Apri gli occhi. Non ti devi addormentare, mi capisci? Non chiudere gli occhi!”
“…”
“allora, ascoltami! La senti la mia voce? Mi avvicino, la senti? Non posso avvicinarmi più di così! Devi fare uno sforzo!
“…”
“Un altro. Un altro che arriva e se ne va. Non tutti sono forti abbastanza.”
“…”
“…”
Ore 03:00 giorno N. 3.474
“…dove… dove?”
“Sono qui! Sono quaggiù, mi vedi? Riesci a sentirmi? Sono al di là delle sbarre!”
“dove…?”
“oh, grazie a Dio sei vivo! Grazie… grazie grazie grazie…”
“io non…non riesco a… Dove sei?”
“sono di fronte a te… ce la fai? Riesci a sollevare la testa?”
“Sei nel corridoio? Come hai fatto a…”
“no. No, non sono fuori. Sono nella cella di fronte alla tua. Riesci a vedermi ora?”
“sì…”
“come stai? Oddio, ancora non riesco a crederci! Eri… insomma, eri morto! Sei rimasto lì steso per ore. Per giorni, forse.”
“io…”
“hai fame?”
“hm. Un po’.”
“ho un po’ di terra qui… te la tiro, sei pronto?”
“cos… cosa?”
“terra. Terriccio, hai presente? E’ una prelibatezza di questi tempi. E soprattutto… è di contrabbando. Qui non se ne vede da anni. Da prima che mio padre fosse rinchiuso qui, prima di me. Allora, ne vuoi?”
“hm… no, no grazie.”
“devi mangiare un po’, lo sai, vero?”
“non… non voglio la tua st-stupida terra. Voglio del pane… voglio un po’ d’acqua!”
“già. Già. Ti capisco, sai? Anche io quando sono arrivato ho fatto fatica ad ambientarmi. Penso che sia un po’ lo stesso per tutti.”
“dove diavolo so-sono?”
“bella domanda, amico. Bella domanda davvero. Nessuno lo sa.”
“Che vuol dire *nessuno lo sa*? Come ci sei finito qui dentro? Dove sono gli altri?
“…”
“Perchè ci sono degli altri, vero?”
“mai visti… a parte mio padre. Ma dopo un paio di mesi non so più che fine abbia fatto neanche lui…”
“e non hai mai cercato di… di capirci qualcosa?”
“c’è la Voce che ci dice ogni cosa. Che ore sono, quali sono i test che dovremo sostenere nel corso della giornata…che serve di più? ”
“la Voce? Cos’è la Voce?”
“ahah… certo, sei sveglio, amico. La Voce è una voce. Una voce che ci parla e ci dice tutto quello che dobbiamo sapere.”
“e tu fai esattamente quello che ti dice ogni volta? Ti fidi di qualunque cosa?”
“beh, si…certi, sì.”
“e non… non ti manca la tua casa?”
“oh, beh… quella neanche me la ricordo…”
“…”
“che c’è? Ho detto qualcosa che non va?”
“Hm? Oh, no. No, no, certo.”
“bene.”
“senti…”
“dimmi.”
“non è che ce l’avresti un po’ di quella terra di cui parlavi? Sto morendo di fame…”
Ore 05:00 giorno N. 3.475
“dormi?”
“…no.”
“io…io non ci riesco.”
“già. A volte non ci riesco neanche io.”
“ti chiedi mai perché sei ancora vivo? Te lo chiedi?”
“no. Non ha senso.”
“perché non ha senso?”
“Perchè non mi interessa.”
“io non ti capisco. E’ tutto così strano.”
“strano perché?”
“Perché siamo tutti qui. Lo hai detto tu. Lo dice la Voce. Siamo tanti. Ma tu hai mai visto nessuno? Sono sempre tutti morti. O sono sempre tutti fuori, per le esercitazioni, per l’ora d’aria, per le medicazioni, per i trattamenti… ”
“parla piano!”
“tu sei l’unica persona che io abbia mai visto qui dentro.”
“che vuoi dire con questo? Cosa sei, un intellettuale? Un estremista? Un ribelle? Che ci vuole a smettere di farsi domande? E’ più facile, cazzo!”
“Smettere di fare domande. D’accordo, facile. Magari facile per te. Non per me… andiamo, come puoi fidarti di una Voce? La voce di una persona che non hai mai visto!”
“Cos’è, non ti sta bene?”
“E’ stupido. Perchè invece non pensare? Pensare a come andartene. Riprenderti la tua vita.”
“Perchè dovrei?”
“Tu non ti ricordi… ma ci sarà qualcuno là fuori che si ricorda di te, no? Qualcuno che ti starà cercando…Qualcuno a cui di te magari frega qualcosa, o sbaglio?”
“…”
“Ok. Ok, scusa.”
“…”
“Ascolta. Se ci fosse anche la minima probabilità, la minima, la più piccola e insignificante probabilità di un mondo vero al di fuori di queste quattro pareti… che faresti?”
“ecco, io… io non lo so.”
“perché ci deve essere qualcosa. Ti hanno sempre detto che non c’è nulla. Che fuori da queste celle finisce il nostro mondo. Oltre la terra che fornivano loro, anni, secoli ancora prima che tu nascesti, forse… nessuno l’aveva più vista, era una leggenda. Così mi hai detto, giusto? Eppure tu ne hai un po’…”
“un pugno soltanto…”
“e che importa? E’ comunque la prova che da qualche parte queste celle finiscono. Lo capisci questo?”
“sì. Forse lo capisco. Ma poi? A che ci serve sapere tutto questo, se non a sperare in qualcosa che non accadrà mai?”
“amico… io me ne voglio andare di qua. Voglio fottutamente tornarmene a casa!”
Ore 20:00 giorno N. 3.476
“ci siamo quasi… lo senti? Lo senti?”
“sembra… sembra un fiume!”
“Oddio, non ci posso credere… ce l’abbiamo fatta.”
“…”
“cosa c’è?”
“è tutto così… così…”
“è bello, non è vero? E’ bello, cazzo! Io… non riesco ancora a crederci!”
“è impossibile…”
“perché, amico, perché? Sei sveglio, te lo posso assicurare… sei vivo! Abbracciami.”
“sì… sì, sono vivo! Siamo vivi, ma ci pensi? Stiamo per andarcene! Torniamo a casa!”
“e mia sorella… Dio, mia sorella! Te la immagini la sua faccia quando mi vedrà arrivare? Crepa stecchita. Dio, non la vedo da.., da quanto?”
“troppo tempo.”
“…”
“…”
“qualcosa non va?”
“hm?… no. No, è il braccio che mi fa un po’ male.”
“sanguini, infatti. Ce la fai?”
“sì, credo di sì.”
“hai freddo? Tieni, tieni la mia divisa. Mettila sulle spalle.”
“Ma tu…”
“io proseguo così, non ha importanza. Posso farcela!”
“e… il piede? Riesci a muoverlo ancora?”
“Dovevamo pur tenere la porta blindata aperta in qualche modo… Appena sarò a casa me lo farò rimettere a posto. Non importa. Non vale più della mano che hai perso forzare la serratura! Ne valeva la pena, no?”
“già…”
“allora… sei pronto?”
“…”
“io apro. Preparati all’aria pura. Te la ricordi ancora? Hm? Te la ricordi? Io no, fratello!”
“ho paura…”
“non essere stupido. Paura di cosa?”
“che sia solo un sogno… che sia solo immaginazione. E se fossimo impazziti?”
“Non lo siamo. Non lo siamo, fratello. Pronto?”
“pronto…”
Diario audio di rapporto della Professoressa Charming al Presidente.
ARGOMENTO: Tentativo di evasione dei carcerati N. 12 e N. 14
Giorno di prigionia N. 3.477
Ore 23:35
*Buongiorno. Parla la professoressa Charming. Volevo metterla al corrente di importanti sviluppi. Da tempo la nostra organizzazione si occupa di testare le capacità e le emozioni umane in relazione a particolari avvenimenti o sollecitazioni. Dunque, le due cavie… pardon, i due detenuti provenivano da famiglie diverse. Ciononostante avevamo riscontrato nel ramo maschile della discendenza una abilità particolare. In seguito alle varie sperimentazioni psicologiche e fisiche, però, non avevamo ottenuto alcun tipo di riscontro positivo. Ieri, contro ogni nostra aspettativa, si è verificato un avvenimento curioso. Ritengo che potrebbe essere la svolta decisiva per le nostre ricerche.
I due detenuti, precisamente alle ore 17:04 minuti, hanno tentato di evadere dalla struttura controllata. Come di certo sospetterà non sono riusciti a sorpassare neanche due delle uscite principali. La loro fuga è confluita nella stanza bianca, con molta probabilità, depistata dai rumori simulati. Ciononostante i detenuti N. 12 e N. 14 hanno sopportato tre ore di marcia forzata, grazie alla quale hanno percorso una distanza di circa 15 chilometri all’interno della struttura, e rispettivamente la perdita di due dita e la frattura di un piede, sacrificati per bloccare i dispositivi di sicurezza. Nessun altro era mai riuscito in un impresa simile, signore, e ciò che ha spinto i due detenuti a sopportare sì grandi fatiche e dolori è la risposta. E’, secondo il mio parere e quello dei colleghi, ciò che ci permetterà di passare alla storia. Il nostro siero permetterà all’uomo di compiere qualsiasi impresa, di sopportare qualsiasi fatica. Vuol sapere qual è questa componente? La speranza… signore.*
“Lo stato dei detenuti dopo la cattura e consecutiva estrazione di *speranza* per gli esperimenti?”
“…vegetativo, signore…”
[Fine della comunicazione]
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GIORNONUMEROSEI. [6.] Ritardo
ottobre 2nd, 2012 Posted 19:36
[6.] Ritardo
E’ una cosa congenita che non si può imparare.
E’ una dote di famiglia che si passa con i cromosomi.
E’ la fuggevole, magica, trapezistica, caustica capacità di NON saper rispettare un orario.
*Appuntamento alle 4 davanti scuola…*
Ore 11:00
L’appuntamento è così spaventosamente lontano che quasi fa ridere.
Ma sì, in questo arco di tempo spaventoso faccio in tempo a prendere una canoa, farmi la circumnavigazione del globo, salutare gli amici della riserva indiana, tornare a casa, dar da mangiare al cane e farmi anche uno spuntino… sai com’è, la fatica mette una fame a bestia!
Ore 12:00
Ancora due ore. Se mi accascio sul letto e metto la sveglia potrei:
1. dormire per 47 minuti e avere ancora liberi un ora e 13 minuti
2. utilizzare i 60 minuti per bazzicare su facebook, twitter, netlog, youtube, blog, vlog, salutare la zia peruviana su skype, fare la maratona di youporn, strizzare l’occhio a due pagine di un libro, mangiare una banana, preparare la cena, lucidare gli stivali di zio Napoleone, Ri-portare fuori il cane e approfittarne per fumare uno sproposito di sigarette.
3. fare la corsa del destino per far sì che la doccia, il lavaggio [assolutamente non necessario] di ulteriori parti corporee la cui esistenza mi è ancora oscura, l’impresa di rendere presentabile [almeno lontanamente] quell’accozzaglia di oggetti, vestiti, polvere, peluches, fogli, penne e cianfrusaglie varie che è la mia stanza… sì, per far sì che tutto possa rientrare nei 13 minuti rimanenti.
Ore 13:00
Un’ora soltanto e il momento tanto atteso si avvicina a passi da gigante…
“Ahem… come dire. Forse dovresti…ecco, magari dovresti cominciare a vestirti.”
“Hm?”
“No, dico… magari dovresti cominciare a vestirti…”
“Chi?”
“chi… bene. Senti, ma la borsa…”
“La borsa…”
“No, dico… la borsa ce l’hai pronta? Gli occhiali, le chiavi, il telefono… c’hai tutto?”
“sì sì… più o meno”
“come più o meno?”
“e vabbeh! Mi manca da metterci [aggiungere il nome di un oggetto a caso... per rendere più credibile il tutto, magari, utilizzare un oggetto compatibile con la capienza della borsa in questione. Niente materiali alieni, possibilmente.]… e poi ho fatto.”
“e perchè non ce lo metti subito?”
“e vabbeh, ma c’ho tempo. Manca un’ora!”
“guarda che poi ti scordi…”
“senti, me lo fai un favore?”
“dimmi…”
“ti levi dai coglioni?”
“sono la tua coscienza, non sono tua madre! Porta rispetto!”
“se vabbeh…”
“eh, se vabbeh sì. Sennò lo sai che facciamo? Lo sai? Me ne vado. Fai da solo, va’! Voglio proprio vedere che fai!”
“E vattene, va’. Ci vediamo dopo…”
“Non lo so…”
“…”
Ore 14:00
E fu così che la doccia era fredda. Perciò niente doccia, perciò capelli sparati alla “merlo nano in crisi esistenziale”. Come se ti fossi appena tirato su dal cuscino senza neanche la compiacenza di darti una rastrellata al cuoio capelluto.
E fu così che i vestiti erano tutti per lavare. Perciò niente scelta di vestiti fighi, perciò pantaloni della tuta con camicetta di pizzo con ballerine nere, con borsa hawaiana in micropolietilene. Cioè… non c’entrano un cazzo l’uno con l’altro!
E fu così che non si trovarono le chiavi.
E fu così la camera la lasciasti in disordine.
E fu così che il cane restò senza pisciare.
E fu così che scordasti il telefono a casa.
Le notifiche su facebook però, le guardasti tutte!
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GIORNONUMEROCINQUE. [5.] Desiderio
settembre 30th, 2012 Posted 16:44
[5.] Desiderio
*555 0666, Hell dialing…*
Prima ce n’era di più.
Prima era diverso.
Prima bastava sfiorarsi con lo sguardo.
Prima bastava una caviglia scoperta.
Bastava un ballo. Un vestito vaporoso, un baciamano, un singolo fuggevole contatto.
Ora non si fa che abbracciare, toccare, provocare.
Per provocare non basta più lo sguardo, siamo diventati troppo deboli, troppo stupidi, troppo insignificanti. Insignificanti per le cose che diciamo, per le cose che facciamo, per le cose che non pensiamo. Migliaia di teste piene di batuffoli di cotone colorati di grigio. Migliaia di teste completamente vuote persino per vedere. Per sentire, per provare qualsiasi cosa che vada al di fuori dello sballo.
Io desidero.
Io desidero fuggire, chiudermi fuori dalla calca di scelte stupide. Fuori dalla ressa soffocante di non-scelte. Fuori dalle pagine bianche dei quaderni, dai cervelli in fumo, dalle scatole di bambole con spazzole di legno, dagli specchi rotti, fuori da me.
Tu desideri.
Tu desideri amare. Braccare la prima preda che sappia respirare e metterla alla prova. Sai amarmi? Sai toccarmi? Con quante parole sapresti uccidermi? Una. E allora sei tu. Sei tu l’ultimo pezzo del mio puzzle. Saresti disposta a trascinarmi, a cullarmi, a prendermi per mano, ad ascoltarmi, a sorreggermi, a travolgermi fino alla fine dei miei giorni?
Egli desidera.
Egli desidera morire. Farsi fuori, scomparire, estinguersi, svanire, evaporare, cancellare ogni traccia di sè. Gettare vomito e smacchiante, acido e acqua ossigenata, sputi e vernice sulle sue opere più belle. Lasciare che una valanga di sassi affilati vada a sommergere ogni passo, ogni orma che si è lasciato indietro.
Noi desideriamo.
Noi desideriamo esplodere. Prendere la nostra voce, afferrarla con le unghie, con centinaia di mani scarnificate dall’odio, ficcare le dita giù, giù nell’anima e strapparne via la voce. Strapparla dallo stomaco e ribaltarla fuori. Far esplodere un grido, un urlo straziante, come quello del rimorso di chi si fa vendetta da solo, di chi perde un figlio, di chi non l’ha mai avuto, di chi fa l’equilibrista su un lago di cadaveri, di chi va a benzina fatta di schiaffi e male parole, di chi il padre è morto e la madre è scivolata via per andare ad inseguirlo nei ricordi. Desideriamo esplodere, anche se non vogliamo. Desideriamo che il mondo torni al suo posto. Desideriamo esplodere in valori che non possediamo più, in parole che hanno perso ogni significato, in gesti diventati ridicoli. In mezzo alla strada, infiliamo le nostre unghie negli occhi per non vedere, perchè non vedere ci fa male, ma vedere ci fa peggio. Ci accechiamo per non urlare davvero.
Voi desiderate.
Voi desiderate tacere. Chiudete col filo spinato le vostre bocche. Nessuno vi sentirà mai. Nessuno guarderà mai più in profondità. Nessuno scoprirà mai che, forse, in profondità non c’è niente. Fumo di fabbrica, parole inutili, jingle televisivi, forchette senza denti, piatti vuoti, televisioni vecchio stile, firme, sorrisi di carta vetrata, nuvole scure, funghi atomici, eccitazione per i nomi dei morti in radio.
Essi desiderano.
Essi desiderano finirla qui. Essi desiderano darsi fuoco. Darsi fuoco per divertimento. Darsi fuoco per esperienza, per avventura. Darsi fuoco per finta protesta, per cancellare le tracce della corruzione, per cancellare l’insania delle risate soffocate, dei registri pieni di firme, di strumenti mai imparati a suonare, dei no veri, dei sì falsi, del sangue slavato, della rabbia contro qualcuno. L’a rabbia dei capelli rasati, delle righe sul pigiama, del nome che diventa un numero, dell’avercelo fatto diventare, di essere prigionieri, di essere carcerieri e boia, di lasciare calare la scure su colli sottili, su colli tozzi e flaccidi fatti di lardo e plastica. Desiderano finirla qui per lo schifo degli occhi infossati, degli occhi spenti, delle labbra screpolate, delle luci accese, dei cadaveri nel fiume, degli orecchini in pelle umana, della differenza che rende uguali, dell’uguaglianza che rende diversi, delle segreterie telefoniche.
*Your call is dead.*
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GIORNONUMEROQUATTRO. [4.] Malinconia
settembre 29th, 2012 Posted 22:33
[4.] Malinconia
Arriva l’inverno e galoppa la malinconia dell’estate.
Delle cose fatte, delle promesse e delle sconfitte. Del tempo perso, degli occhi infranti a guardare qualcosa che non si può avere, dei cuori gonfi di canzoni troppo tristi, canzoni che parlano troppo di noi.
*…e non avrò paura, se non sarò bella come vuoi tu….*
Si guardano i successi degli altri, si ama il vento, si pensa al futuro, si immagina qualcosa che non accadrà se non ci facciamo il culo, si sta le ore a fissare la stessa pagina di un libro, si fuma sul balcone, gin e acqua di colonia, coperta e pop-corn, acqua della doccia e ore passate con la testa ficcata nella vestaglia ad ascoltare canzoni anni ’60.
Cioccolata calda per intingere i pensieri, pioggia di confetti e temporali, enormi conigli rosa che ballano sulle strisce pedonali e spogliarelli di uomini in divisa.
E andare via. In macchina. Con la grandine che picchia sullo sguardo, perso nelle luci dei lampioni dell’autostrada. *and I ride…and I ride…*
Voglio un abbraccio.
Voglio un bacio.
Voglio un po’ di vento sull’erba.
Affondare il naso e le mani in capelli e profumo non miei.
Voglio un po’ d’affetto.
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GIORNONUMEROTRE. [3.] Vita
settembre 28th, 2012 Posted 12:52
[3.] Vita
Perchè facciamo le cazzate?
Perchè ci lasciamo agire?
Perchè è sempre così difficile fare la cosa giusta?
Perchè è così difficile scegliere?
Perchè?
Ognuno ha nella testa qualcosa.
Ognuno di noi è un muro.
Una volta capito che il muro è di solido, indistruttibile cemento, ci riesce più facile continuare a prenderlo a testate, sperando che crolli *cosa che non accadrà mai*, piuttosto che cambiare strada… piuttosto che guardarsi intorno e scoprire che lontano, magari tra chilometri e chilometri c’è una strettoia di filo spinato che ci consentirebbe di sorpassarlo.
Ci piace crogiolarci nel vittimismo, nel “tanto non ce la farò mai”, piuttosto che scegliere la strada più lunga, nascosta, inerpicata e dolorosa che *lo sappiamo*, ci porterà a quella sensazione strana, quel prurito all’altezza del petto (tra il polmone destro e quello sinistro), quel brivido caldo dietro la schiena, quella sensazione di onnipotenza che, solitamente, chi è privo di fantasia chiama semplicemente felicità.
E’ come fare il morto a galla, lasciarsi trasportare dalle onde.
Come scrivere virtuosismi privi di senso, come inciampare nei soliti luoghi comuni e nei soliti clichè.
Si aspetta sempre il colpo gobbo che cambi del tutto la nostra vita, azzeri i trascorsi e ci forzi a ricominciare da capo. Ma cambiare taglio di capelli non vuol dire vita nuova.
Andare contro corrente.
Andare contro corrente… che non vuol dire fare i finti alternativi, leggere romanzi e ascoltare musica di nicchia per fare i superiori, scrivere frasi pseudo-filosofiche per fingere di capire qualcosa di come va il mondo, quando in realtà, non si ha ancora la minima idea di dove cominciare con il proprio, di mondo.
Andare contro corrente non è blu quando va di moda il viola.
Non è la testa rasata quando vanno di moda i capelli lunghi.
Non è la maglietta senza reggiseno a cinquant’anni con le pere al vento.
Non è andare male a scuola.
Non è guidare la macchina.
Non è guidare ubriachi.
Non è predicare bene e razzolare male.
Andare contro corrente non è un dovere. Uscire dal coro non vuol dire nulla. Potrebbe anche solo essere un parere di chi con la massa non si trova ad andare d’accordo.
Ma andare contro corrente è diversificare. E’ fare quello che cazzo mi pare… quello che cazzo mi pare per stare bene. Per preservare. Andare contro corrente è avere rispetto di me.
E’ avere rispetto del mio corpo, esprimere le mie idee… esprimermi perchè è quello che voglio.
Andare contro corrente è responsabilità.
Andare contro corrente è guardarsi indietro ed essere soddisfatti di ogni attimo, di ogni scelta, persino di quella sbagliata.
Andare contro corrente è non avere pregiudizi, pensieri precotti.
Andare contro corrente è mente aperta. Non malleabile.
Andare contro corrente è chiedersi ogni giorno “perchè” di qualcosa. Chiedersi se poi esista davvero qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato.
Andare contro corrente è vivere. E non sopravvivere.
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GIORNONUMERODUE. [2.] Vergogna
settembre 27th, 2012 Posted 19:20
[2.] Vergogna
C’è chi ne prova troppa e chi non ne prova mai.
Le vie di mezzo fanno schifo a tutti perchè sono troppo difficili.
Vergogna, mio signore, vergogna. Non si deve avere paura.
Vergogna, vergognati della tua vita.
Vergognati perchè respiri.
Vergognati perchè sei arrabbiato. Sei così arrabbiato…
Vergognati perchè respiri ancora, perchè cammini, perchè nessuno ti nota, perchè non sei quello che vorresti e perchè non provi, non ci provi neanche a essere quello che vuoi.
Vergogna perchè non hai la fidanzata.
Vergogna perchè non fumi le canne, perchè non ti ubriachi, perchè non vomiti dal terrazzo, perchè non ti spappoli il cervello, vergognati perchè sei una persona banale, perchè non hai idee, perchè ti lasci trascinare, perchè sei malleabile come una pozza di fango, perchè non sai rispondere, perchè non sai rispondere di te stesso, perchè non ascolti e non ti ascolti, perchè non sai fare nulla, perchè il talento che ti dicevano di avere forse ce l’hai *sotto le suole*, perchè non sai chi sei, perchè non bestemmi Dio, perchè non credi, perchè Credi troppo, perchè leggi e perchè non leggi. Perchè non ti fai domande e perchè te ne fai troppe.
Io non mi vergogno perchè…
Perchè sono dannatamente bello.
Perchè cammino come se mi fossi cagato nei pantaloni.
Perchè ho vent’anni e tra altrettanti ne dimostrerò settanta.
Perchè l’ho fatto nel bagno del cinema.
Perchè mi sono fatto la maratona dell’alcool partendo dall’assenzio.
Perchè ho il porsche… e se non ce l’ho trucco il motore della mezzo sacco per farlo strombazzare come una ferrari con seri problemi alla marmitta.
Perchè dico mezzo sacco anzichè 500.
Perchè il mio dialetto non lo parla nessuno.
Perchè vado di moda.
Perchè porto i preservativi nel portafoglio… così se dovessi mai decidere di tirarli fuori mi si romperebbero anche solo a guardarli.
Perchè sono fottutamente alternativo.
Perchè puzzo di sudore.
Perchè generalmente duro più di 30 secondi.
Perchè tratto i miei capelli come fossero stoppa.
Perchè “abbasso il sistema”… ma il sistema, qual è? cos’é?
Perchè io e solo e sempre io.
Perchè, gli altri? Fanculo.
Perchè, i miei genitori? Vecchiume.
Perchè, i miei ideali? Quali ideali? Birra, fumo e femmine, questo mi basta e mi avanza.
Perchè?
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Scemo chi [NON] legge.
settembre 27th, 2012 Posted 13:46
Oggi, ammettiamolo, scrivono cani e porci.
Scrive il politico a cui non bastano più i soldi della paga.
Scrivono il calciatore e la velina e la modella, scrivono di banalissima vita passata e scandali per tuffarsi di nuovo sotto le luci della ribalta. *Milord alza la mano e… DENG DENG DENG DENG, sì, risposta esatta: tutto scritto sotto dettatura, ovviamente*
Scrive il poeta fallito, scrive per lanciare le sue idee pseudo-innovative e trasgressive [leggesi: trasgressiv, perchè fa molto english e quindi fa molto figo], che si afflosciano sputacchiando, anzichè esplodere come bombe a mano.
Scrive il vecchio uomo di palcoscenico che nessuno si caga più.
Scrive l’uomo di chiesa nel tentativo di richiamare al pascolo le pecorelle smarrite.
Scrive la liceale, scrive di ragazzi bruciati, di alcool e droga e sesso che non ha mai conosciuto, scrive di adolescenze bruciate che finge di conoscere come e più del palmo della sua mano.
Scrive lo pseudo-filosofo.
Scrive l’insegnante.
Di idee belle e nuove (o che quantomeno provino ad essere tali) ce ne sono poche, andrebbero cercate col lanternino.
[Cerco l’uomo. (cit. Anonimo)]
Il mio progetto, modesto *Madame, si fa per dire… un po’ di falsa modestia ci vuole in ogni occasione.*, è quello di lasciare spazio alle nuove penne (o nuove tastiere, che dir si voglia). Ai ragazzi/e che si cimentano nell’arte della scrittura con discreti/buoni/ottimi risultati.
Il gradimento di un’opera (qualunque essa sia, dalla drammaturgia, al racconto breve, al teatro, alla musica), come voi di certo ben saprete, è terribilmente soggettivo, ovviamente. Perciò sentitevi liberi di esprimere il vostro parere *ovvio Duchessa, benchè costruttivo… niente cose tipo “fai schifo”, “scrive meglio mia nonna”, “il cobra cieco del vicino ha più speranze di te*
Ogni tanto pubblicherò testi, commenti e schede di nuovi autori che si sono classificati in graduatoria, in due contest di scrittura creativa creati dalla sottoscritta.
Un consiglio? Scrivete, scrivete e scrivete.. *tanto, se pagate, vi pubblicano anche se copiate l’elenco del telefono…ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente casuale*
A parte gli scherzi… scrivere, come tante altre cose, non è un gioco. Se vi annoiate, andate a pagaiare nella piscina del vicino, fatevi mordere da qualche mostruoso aracnide africano… non so, portare il cane a passeggiare in Perù.
Scrivete se non potete farne a meno. Se non potete tenervele dentro le cose, non per mostrare al mondo quanto siete fantastici. *^*
Detto ciò,
A presto.
Melassa a tutti. Cià.
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GIORNONUMEROUNO. [1.] Amore
settembre 26th, 2012 Posted 19:17
[1.] Amore
Stringila.
Da bambini era una cordicella, adesso è un nastro.
Quel nastro, quella cordicella, stringila.
Tirala più che puoi.
Se ti si rompe il dito, pazienza…
A ripararlo penso io.
Metti un cuore sulla bilancia,
metti il tuo.
Dall’altra metto quello di una capra, di un africano, di un cinghiale, di un macellaio. Di un corista, di una suora, di un sagrestano, di un papa, di un santo, di un bambino, di un astronauta, di un assassino. Di una puttana, di un cane, di un’organista, di una show-girl, di un giornalista, di un disertore, di un secondino, di un generale, di una scimmia.
Pesano tutti uguali.
Tutti uguali al tuo.
L’amore è come le caramelle.
Come gli sputi.
Come i baci.
Come gli schiaffi.
Come le carezze sui capelli.
Come tutto ciò che non ha un sapore.
Amore che infuoca.
Amore in fumo.
Amore che uccide.
Amore che fa uccidere.
Amore che guarda.
Amore che vede.
Amore che acceca.
Amore che è uno spillo in un occhio.
Amore che alleva.
Amore che è aspro.
Amore che ti fa esplodere la testa.
Amore per strada.
Amore immobile, come l’aria.
Amore che sta bene così.
Amore
Amore
Amore
A M O R E MIO.
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366 Giorni di Parole
settembre 26th, 2012 Posted 18:42
Sarò breve. Anzi, sarò breverrima… Madames e Messieurs, il progetto è il seguente:
[ 366 Parole per 366 Giorni. *sì, Milord, grazie per l’intervento, sono equivalenti all’esatta durata di un anno… grazie, si sieda*]
Una Parola al giorno, toglie il medico di torno, si sa. Aiuta a sconfiggere le paure e a capire se stessi (o almeno così m’hanno detto). Ora, sarà vero? Tanto vale provare:
Ogni giorno sarà contrassegnato da una parola, una parola con una storia, una parola che significhi per me DAVVERO qualcosa:
300 Parole importanti.
30 Parole a Tema.
30 Parole Random.
5 Parole Molto importanti.
1 Parola a Sorpresa.
A partire da oggi.]
♥
Salut *la seduta è tolta Madames e Messieurs, Au revoir… sì, sì. Madame, se ne vada, è… è finita. A domani. Sbuff…maledetti cornetti acustici.*
;P
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