Shina Lab

An tsaotharlann na Shina

GIORNONUMEROCINQUE. [5.] Desiderio

[5.] Desiderio

*555 0666, Hell dialing…*

Prima ce n’era di più.
Prima era diverso.

Prima bastava sfiorarsi con lo sguardo.
Prima bastava una caviglia scoperta.
Bastava un ballo. Un vestito vaporoso, un baciamano, un singolo fuggevole contatto.

Ora non si fa che abbracciare, toccare, provocare.
Per provocare non basta più lo sguardo, siamo diventati troppo deboli, troppo stupidi, troppo insignificanti. Insignificanti per le cose che diciamo, per le cose che facciamo, per le cose che non pensiamo. Migliaia di teste piene di batuffoli di cotone colorati di grigio. Migliaia di teste completamente vuote persino per vedere. Per sentire, per provare qualsiasi cosa che vada al di fuori dello sballo.

Io desidero.
Io desidero fuggire, chiudermi fuori dalla calca di scelte stupide. Fuori dalla ressa soffocante di non-scelte. Fuori dalle pagine bianche dei quaderni, dai cervelli in fumo, dalle scatole di bambole con spazzole di legno, dagli specchi rotti, fuori da me.
Tu desideri.
Tu desideri amare. Braccare la prima preda che sappia respirare e metterla alla prova. Sai amarmi? Sai toccarmi? Con quante parole sapresti uccidermi? Una. E allora sei tu. Sei tu l’ultimo pezzo del mio puzzle. Saresti disposta a trascinarmi, a cullarmi, a prendermi per mano, ad ascoltarmi, a sorreggermi, a travolgermi fino alla fine dei miei giorni?
Egli desidera.
Egli desidera morire. Farsi fuori, scomparire, estinguersi, svanire, evaporare, cancellare ogni traccia di sè. Gettare vomito e smacchiante, acido e acqua ossigenata, sputi e vernice sulle sue opere più belle. Lasciare che una valanga di sassi affilati vada a sommergere ogni passo, ogni orma che si è lasciato indietro.
Noi desideriamo.
Noi desideriamo esplodere. Prendere la nostra voce, afferrarla con le unghie, con centinaia di mani scarnificate dall’odio, ficcare le dita giù, giù nell’anima e strapparne via la voce. Strapparla dallo stomaco e ribaltarla fuori. Far esplodere un grido, un urlo straziante, come quello del rimorso di chi si fa vendetta da solo, di chi perde un figlio, di chi non l’ha mai avuto, di chi fa l’equilibrista su un lago di cadaveri, di chi va a benzina fatta di schiaffi e male parole, di chi il padre è morto e la madre è scivolata via per andare ad inseguirlo nei ricordi. Desideriamo esplodere, anche se non vogliamo. Desideriamo che il mondo torni al suo posto. Desideriamo esplodere in valori che non possediamo più, in parole che hanno perso ogni significato, in gesti diventati ridicoli. In mezzo alla strada, infiliamo le nostre unghie negli occhi per non vedere, perchè non vedere ci fa male, ma vedere ci fa peggio. Ci accechiamo per non urlare davvero.
Voi desiderate.
Voi desiderate tacere. Chiudete col filo spinato le vostre bocche. Nessuno vi sentirà mai. Nessuno guarderà mai più in profondità. Nessuno scoprirà mai che, forse, in profondità non c’è niente. Fumo di fabbrica, parole inutili, jingle televisivi, forchette senza denti, piatti vuoti, televisioni vecchio stile, firme, sorrisi di carta vetrata, nuvole scure, funghi atomici, eccitazione per i nomi dei morti in radio.
Essi desiderano.
Essi desiderano finirla qui. Essi desiderano darsi fuoco. Darsi fuoco per divertimento. Darsi fuoco per esperienza, per avventura. Darsi fuoco per finta protesta, per cancellare le tracce della corruzione, per cancellare l’insania delle risate soffocate, dei registri pieni di firme, di strumenti mai imparati a suonare, dei no veri, dei sì falsi, del sangue slavato, della rabbia contro qualcuno. L’a rabbia dei capelli rasati, delle righe sul pigiama, del nome che diventa un numero, dell’avercelo fatto diventare, di essere prigionieri, di essere carcerieri e boia, di lasciare calare la scure su colli sottili, su colli tozzi e flaccidi fatti di lardo e plastica. Desiderano finirla qui per lo schifo degli occhi infossati, degli occhi spenti, delle labbra screpolate, delle luci accese, dei cadaveri nel fiume, degli orecchini in pelle umana, della differenza che rende uguali, dell’uguaglianza che rende diversi, delle segreterie telefoniche.

*Your call is dead.*

Io, tu, egli, noi, voi, essi... a volte desideriamo soltanto desiderare, per non affaticarci troppo, per non spostare i piedi dalla sicurezza... ed è proprio allora che cadiamo giù."

This entry was posted on domenica, settembre 30th, 2012 at 16:44 and is filed under Pensieri. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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